IL PRETORE Letti gli atti: OSSERVA IN FATTO Con ricorso 19 gennaio-4 febbraio 1986, Cosimo, Silvana, Gaetano, Rita, Giuseppe e Vincenzo Marzo, tutti eredi di Pasquale Marzo, assegnatario di alloggio Gescal con promessa di futura vendita contratto (9 ottobre 1964, reg. in pari data), proponevano opposizione, innanzi a questo pretore, avverso il provvedimento 13 dicembre 1985, n. 85, del sindaco di Squinzano, con il quale era stata dichiarata la decadenza dell'assegnazione ai sensi dell'art. 19, lett. b) della legge regione Puglia 20 dicembre 1984, n. 54. Deducevano a sostegno dell'opposizione: A) l'illegittimita' del provvedimento sindacale, costituente una duplicazione - in pendenza di giudizio - di quello emesso in data 4 ottobre 1984 dal presidente dell'I.A.C.P. di Lecce ed opposto dagli stessi ricorrenti con atto 3 gennaio 1985; B) l'illegittimita' del suddetto provvedimento per violazione nel procedimento fissato dalla normativa regionale citata (art. 19 e 18), volto ad accertare la sussistenza delle condizioni per le dichiarazioni di annullamento e decadenza; C) nel merito "l'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto" del motivo di decadenza (non stabile abitazione dell'assegnatario e dei suoi eredi nell'alloggio assegnato). Costituitosi, il comune, dopo avere rilevata la competenza del sindaco in subiecta materia (prima attribuita al presidente dell'I.A.C.P. ex art. 11 della legge 30 dicembre 1972, n. 1035) ai sensi della gia' richiamata legge regionale, sottolineava che "il nuovo atto sostituiva l'altro, lo rafforzava e lo convalidava per effetto del perpetuarsi della situazione presistente". Nel merito osservava che l'alloggio dei Marzo era stato concesso in locazione a tal Salvatore Bianchi, sin dal 1981, sicche' indiscutibile si appalesava l'abuso e correlativamente corretto il provvedimento di decadenza. Nel giudizio spiegava intervento adesivo alle ragioni del comune il Bianchi, che giustificava la propria legittimazione ad intervenire in quanto in possesso dei requisiti di legge per ottenere l'assegnazione dell'alloggio in questione in sanatoria ex art. 23 della legge regione Puglia cit. All'udienza del 23 settembre 1986, i ricorrenti sollevavano questione di legittimita' costituzionale della legge regionale nella parte in cui "equipara totalmente le diverse ipotesi di assegnazione 'senza distinguere tra locazioni semplici e promesse per future vendite', sottratte queste ultime alla potesta' normative delle regioni" e sulle quali, quindi, il sindaco non poteva esercitare alcun potere sanzionatorio. I N D I R I T T O La questione di legittimita' costituzionale della normativa regionale nei termini prospettati dai ricorrenti e' manifestamente infondata. Come rilevato dalla giurisprudenza, il cui orientamento e' condivisibile, le ipotesi di decadenza dell'assegnazione sancite dall'art. 17 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, riguardano sia le assegnazioni in locazione semplice sia quelle con patto di futura vendita, fino a quando per queste ultime non si sia perfezionato il trasferimento della proprieta' con la stipulazione del relativo contratto (ved. da ultimo: Cass. 13 novembre 1991, n. 12125; Cons. di Stato 5 ottobre 1991, n. 765). Piuttosto, la legge regionale e' sospetta di incostituzionalita' con riferimento: 1) alla previsione contenuta nell'art. 19, settimo comma, che attribuisce, in via esclusiva, al pretore la competenza e giurisdizionale sui ricorsi in opposizione avverso i provvedimenti sindacali di decadenza; B) alla previsione dell'art. 19, primo comma, che attribuisce al sindaco la materia della dichiarazione di decadenza dall'assegnazione; C) alla previsione dell'art. 19, primo comma, lett. B), che configura la decadenza, tra l'altro, nell'ipotesi in cui - come si assume nella specie - l'assegnatario "non abiti stabilmente nell'alloggio assegnato". Con riferimento al profilo sub A, va preliminarmente osservato che il riparto della giurisdizione in tema di revoca delle assegnazioni ex art. 17 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 ("decadenza" nella legge regionale) e' stato per lungo tempo controverso; a partire, peraltro, dal 1989, la S. Corte di Cassazione con ripetute e numerose decisioni ha rilevato che, a parte l'ipotesi di decadenza prevista dall'art. 11 del d.P.R. n. 72/1035, che attribuisce "la competenza giurisdizionale (ved. s.u. 22 dicembre 1989 n. 5762)" per il ricorso in opposizione al pretore, per il resto il riparto della giurisdizione tra g.o. e g.a. resta regolato, secondo i principi generali, dalla consistenza delle situazioni dedotte: sviluppando tali concetti si e', quindi, ritenuto che l'addove la vicenda non attenga, come nelle ipotesi di revoca, al rapporto pubblicistico di assegnazione, ma si inserisca nel succesivo rapporto locativo, coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, la controversia appartiene alla giurisdizione del g.o., mentre, ove investa il suddetto rapporto pubblicistico (fattispecie di annullamento ex art. 16 del d.P.R. n. 72/1035), rientra nella giurisdizione del g.a. (ved. s.u. 19 aprile 1990, n. 3552; s.u. 22 gennaio 1991, n. 556). Peraltro, nonostante l'orientamento ormai consolidato nel supremo collegio, sussiste ancora nell'ambito della giustizia amministrativa un indirizzo non minoritario che attribuisce anche in materia di revoca e decadenza la giurisdizione al giudice amministrativo (ved. da ultimo: Cons. di Stato 4 giugno 1990, n. 447; Cons. Stato 8 maggio 1990, n. 360). L'appartenenza, comunque, al g.o. della giurisdizione in tema di opposizione ai provvedimenti revoca, non correlabile a quella pretorile di cui all'art. 11 del d.P.R. n. 72/1035 cit. - norma questa definita "speciale" e non estensibile oltre l'ipotesi considerata - comporta la distribuzione della competenza fra i giudici della giustizia ordinaria secondo i normali criteri del valore. Orbene l'art. 19, settimo comma, della legge regione Puglia 20 dicembre 1984, n. 54, nell'attribuire al g.o. la giurisdizione nei giudizi di opposizione dal pretore la competenza per materia e territoriale inderogabile (funzionale), pare violare l'art. 108 della Costituzione, che riserva la materia processuale al legislatore statale. Ne' la norma impugnata - rilievo, peraltro, inconferente - e' riproduttiva dell'art. 11, tredicesimo comma, del d.P.R. n. 72/1035, giacche' questa riguarda la sola ipotesi di decadenza per mancata stabile occupazione dell'alloggio da parte dell'assegnatario entro 30 giorni (o 60 se lavoratore emigrato all'estero), ma contempla fondamentalmente le ipotesi di revoca di cui all'art. 17 del d.P.R. cit.; essa, quindi, non consente al g.o. ne' di verificare la propria giurisdizione alla stregua della normativa statale ne' alle parti di eccepire ed al giudice di rilevare l'eventuale incompetenza per valore, sicche' evidente e' la rilevanza del giudizio in corso nella questione. D'altro conto, la Corte costituzionale ha gia' dichiarato con sentenza 30 dicembre 1991, n. 505, l'illegittimita' costituzionale della normativa prov. Bolzano in tema di opposizione avverso i decreti di annullamento e decadenza, riservata alla competenza giurisdizionale pretorile. Con riferimento dei profili sub. B e C, va osservato che il legislatore statale nel riordinare la materia dell'edilizia pubblica residenziale ha emanato dapprima la legge delega 22 luglio 1975, n. 382 per il completamento del trasferimento alle regioni delle funzioni corrispondenti alle materie di cui all'art. 117 della Costituzione; e successivamente il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, per l'esecuzione della delega ed ancora la legge 8 agosto 1977, n. 513 e 5 agosto 1978, n. 457. In particolare con il d.P.R. del 1977, n. 616, art. 95, sono state attribuite ai comuni "le funzioni amministrative concernenti l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica" (con salvezza nella competenza stimati fra quelli da destinare a dipendenti civili e militari dello Stato per esigenze di servizio), funzioni, che secondo l'ormai consolidata giurisprudenza, si estendono anche ai provveidmenti di decadenza, annullamento e revoca, di cui agli artt. 11, 16 e 17 del d.P.R. del 1972, n. 1035; il termine "comune" e' stato costantemente interpretato nel senso di "consiglio comunale" (ved. Cass. 16 settembre 1980, n. 5622, Cons. di Stato 22 settembre 1987, n. 539, Cass. 26 marzo 1988, n. 2593 e da ultimo Cass. 2 ottobre 1991, n. 11400), sicche' appare di dubbia costituzionalita', ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, la norma regionale che attribuisce la competenza in tema di provvedimenti di decadenza al sindaco, quale organo monocratico, ansiche' al consiglio comunale; norma in base alla quale e' stato emesso il provvedimento opposto, donde la rilevanza della questione nel presente giudizio. Il provvedimento sindacale del 13 dicembre 1985 e' stato emesso ex art. 19, lett. B, della legge regionale citata, che contempla l'ipotesi in cui l'assegnatario "non abiti stabilmente nell'alloggio assegnato" (o ne muti la destinazione d'uso). Tale ipotesi non e' prevista in alcuna delle fattispecie di decadenza e revoca di cui al d.P.R. del 1972, n. 1035, cui in tema di provvedimenti sanzionatori fa riferimento la successiva legislazione di "riordino": l'art. 11 del d.P.R. cit. sancisce la decadenza nell'ipotesi in cui non venga assolto l'onere di occupare stabilmente l'alloggio "entro il termine" di legge o quello prorogato a seguito "di motivata istanza", mentre l'art. 17 fissa la revoca nei casi di cessione a terzi, abbandono, uso per scopi vietati, dell'alloggio, fruizione di un reddito superiore a quello stabilito, tutte ipotesi diverse o solo in parte assimilabili a quella della non stabile abitazione dell'assegnatario nell'alloggio, di cui all'art. 19, lett. B), della disposizione regionale. Anche in tal caso appare non manifestamente infondata la question di legittimita' costituzionale della norma de qua per violazione dell'art. 117 della Costituzione. Il motivo, su cui si fonda il provvedimento sindacale, rende evidente la rilevanza della questione nel giudizio in corso.